sabato 17 gennaio 2015

Se gli uomini rubano il talento alle donne di Raffaella De Santis

(un film, un libro, una ricerca svelano il vizio antico del furto di firma. Nelle arti così come nelle scienze)

Se un uomo parla, sul posto di lavoro, viene ascoltato. Se lo fa una donna, molto spesso viene interrotta. E se poi lei elabora una buona idea, questo suo pensiero viene “rubato” dagli uomini presenti, che la fanno propria. Non sono luoghi comuni più o meno femministi, ma il risultato di uno studio elaborato dalla psicologa Victoria L. Brescoll dell’università di Yale, e riportato dal New York Times. Una ricerca che riguarda ambiti professionali tradizionali, ma che può essere applicata anche all’universo della creatività. Perché ogni tanto, dal buio, riemerge il nome di qualche artista ingiustamente dimenticata, che ha contribuito a fare la fortuna di un uomo diventato famoso appropriandosi del suo lavoro. Ad esempio al cinema c’è Big Eyes, film in cui Tim Burton racconta la storia vera di Margaret Keane.
La pittrice di bambini dall’aria triste e gli occhi giganti che viene defraudata della firma da un uomo molto più ambizioso di lei. Ma erano gli anni Cinquanta, e anche in America le mogli tendevano a fidarsi troppo dei mariti, mentre fuori dalle pareti domestiche della middle class si facevano strada le lotte per l’emancipazione femminile ( Il secondo sesso di Simone de Beauvoir è pubblicato in Francia nel 1949, nel 1953 in America).
C’è poi un giallo, in uscita nelle librerie italiane, che sta riscuotendo un grande successo in tutto il mondo (è stato tradotto in ventidue paesi). S’intitola La verità e altre bugie (Marsilio), esordio narrativo del tedesco Sascha Arango. La trama ruota intorno alla vita di uno scrittore che sfrutta il talento di sua moglie per diventare famoso. Lei scrive i romanzi, dalla prima all’ultima riga, lui li firma. Anche in questo caso, la moglie accetta il suo ruolo, anzi lo aiuta a mentire.
«In passato l’assistenza femminile all’attività del marito veniva considerata scontata, come se fosse compresa nel contratto matrimoniale. Che la moglie di Bach aiutasse il marito componendo, come sostenuto qualche giorno da un musicologo proprio sulle pagine di Repubblica, fa parte di questa visione delle cose», spiega Anna Bravo, storica delle donne e autrice di saggi sul tema del ruolo femminile nella società. «Non succedeva solo nel campo artistico, ma in ogni settore della vita. Quando dopo il 1943 molti prigionieri evadono dai campi in cui erano internati, spesso è una donna a salvarli e nasconderli, ma il merito va al capofamiglia. Anche in questo caso non si tratta di un complotto ma d’inerzia: era scontato comportarsi così». Talmente scontato che perfino un pensatore liberale come John Stuart Mill, in primo piano nella battaglia dei diritti individuali e dell’emancipazione delle donne, scrisse The Subjection of Women ( La schiavitù delle donne, 1869) omettendo la firma della moglie Harriet Taylor, pur sapendo che il libro era frutto di un’elaborazione comune. La confessione è nella Autobiografia di John: «Le debbo le mie migliori idee». Ma velatamente dentro l’opera ve ne era già una traccia: «Chi può dire quante delle idee più originali formulate da autori maschi appartengano a una donna che le ha suggerite? Se posso giudicare dal mio caso, un numero davvero ampio». Ad Harriet è dedicato anche il saggio Sulla libertà, uscito nel 1859, a un anno dalla sua morte: «All’amata e compianta memoria di colei che fu l’ispiratrice, e in parte l’autrice, di tutto il meglio della mia opera».
Nella letteratura è noto il caso di Colette. La donna libera e spregiudicata protagonista della Francia della Belle Époque, colei che poi contribuirà all’affermazione di una nuova figura di scrittrice indipendente, era stata per un periodo la ghostwriter di suo marito Willy, pseudonimo di Henri Gauthier-Villars. Tutta la serie di Claudine, uscì, tra il 1900 e il 1903, attribuita a Willy e solo dopo il divorzio verrà pubblicata a doppia firma. Nel libro Il mio noviziato, Colette racconta che Willy era talmente sicuro di sé da vantarsi pubblicamente, arrivando quasi a confessare: «Ma sapete che questa bambina mi è stata preziosa? Sì, sì, preziosa! Mi ha raccontato sulla sua scuola cose incantevoli!». Lei non si perdonerà di aver potuto permettere una tale ingiustizia: «In calce ai due primi contratti ho apposto la mia firma. Questa espropriazione è veramente il gesto meno scusabile che abbia ottenuto da me la paura, e non me lo sono perdonato». Più controversa la storia di Zelda Fitzgerald, che passò gli ultimi anni della sua vita in un ospedale psichiatrico, e accusò Francis Scott di averla sfruttata e di essersi appropriato di molte sue idee: «Ho riconosciuto (nelle opere dello scrittore, ndr) pagine dei miei diari e anche pezzi di lettere che gli scrivevo», disse. Zelda pubblicò un solo libro, Lasciami l’ultimo valzer, e non riuscì mai a portare a termine il secondo.
Tra pittori accadeva spesso che una donna lavorasse alla bottega di un grande artista per poi sparire nell’anonimato. Alcuni dipinti di Judith Leyster, pittrice e disegnatrice olandese del Seicento, sono stati a lungo attribuiti al suo maestro Frans Hals. Così la Giovane donna che disegna ( 1801) di Marie-Denise Villers, opera custodita al Metropolitan Museum of Art di New York, è stata ritenuta per molto tempo opera di Jacques-Louis David, nel cui atelier Marie lavorava. E sembra che sia stata Camille Claudel, amante tormentata di Rodin, a scolpire mani e piedi del gruppo bronzeo I borghesi di Calais. Il finale è ancora una volta tragico: Camille muore rinchiusa in un manicomio, senza più realizzare una so- la opera. Dopo la rottura con lo scultore aveva realizzato il bronzo L’età matura, in cui si raffigurava come una giovane donna in ginocchio che tentava di trattenere a sé il suo uomo, mentre lui si allontanava con un’altra. Per Germaine Greer, autrice nel 1979 di The Obstacle Race, saggio sulla condizione delle pittrici nella storia dell’arte dal Medioevo all’Ottocento, gli ostacoli a una competizione paritaria tra donne e uomini in campo artistico sono sociali, educativi e psicologici. Marietta Robusti Tintoretto, figlia illegittima di Jacopo, lavorò nello studio paterno sacrificando la sua carriera individuale, imprigionata per tutta la sua breve vita sotto la cappa dell’amore del padre. La bellissima storia del loro soffocante rapporto è narrata da Melania Mazzucco nel romanzo La lunga attesa dell’angelo ( Rizzoli).
Gli scienziati non sono meno maschilisti. Lise Meitner è stata esclusa dal Nobel per la scoperta della fissione nucleare, che nel 1945 andrà al suo collega Otto Hahn. Anche Rosalind Franklin, che ha dato un notevole contributo allo studio della struttura del dna, viene privata del premio, assegnato nel 1962 a Wilkins, Watson e Crick. Mentre l’astrofisica britannica Jocelyn Bell Burnell, che aveva individuato i pulsar, lascia il Nobel al relatore della sua tesi, Antony Hewish. Era il 1974.
Di strada ce n’è ancora molta da fare, come dimostra il recente studio condotto a Yale. Le cui conclusioni sono amare: nei luoghi di lavoro le donne per difendersi dalla “appropriazione indebita” maschile sono spinte necessariamente a tacere. Consola il fatto che Willy oggi sia ricordato solo in quanto marito di Colette.


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