(un film, un libro,
una ricerca svelano il vizio antico del furto di firma. Nelle arti
così come nelle scienze)
Se un uomo parla,
sul posto di lavoro, viene ascoltato. Se lo fa una donna, molto
spesso viene interrotta. E se poi lei elabora una buona idea, questo
suo pensiero viene “rubato” dagli uomini presenti, che la fanno
propria. Non sono luoghi comuni più o meno femministi, ma il
risultato di uno studio elaborato dalla psicologa Victoria L.
Brescoll dell’università di Yale, e riportato dal New York Times.
Una ricerca che riguarda ambiti professionali tradizionali, ma che
può essere applicata anche all’universo della creatività. Perché
ogni tanto, dal buio, riemerge il nome di qualche artista
ingiustamente dimenticata, che ha contribuito a fare la fortuna di un
uomo diventato famoso appropriandosi del suo lavoro. Ad esempio al
cinema c’è Big Eyes, film in cui Tim Burton racconta la storia
vera di Margaret Keane.
La pittrice di
bambini dall’aria triste e gli occhi giganti che viene defraudata
della firma da un uomo molto più ambizioso di lei. Ma erano gli anni
Cinquanta, e anche in America le mogli tendevano a fidarsi troppo dei
mariti, mentre fuori dalle pareti domestiche della middle class si
facevano strada le lotte per l’emancipazione femminile ( Il secondo
sesso di Simone de Beauvoir è pubblicato in Francia nel 1949, nel
1953 in America).
C’è poi un
giallo, in uscita nelle librerie italiane, che sta riscuotendo un
grande successo in tutto il mondo (è stato tradotto in ventidue
paesi). S’intitola La verità e altre bugie (Marsilio), esordio
narrativo del tedesco Sascha Arango. La trama ruota intorno alla vita
di uno scrittore che sfrutta il talento di sua moglie per diventare
famoso. Lei scrive i romanzi, dalla prima all’ultima riga, lui li
firma. Anche in questo caso, la moglie accetta il suo ruolo, anzi lo
aiuta a mentire.
«In passato
l’assistenza femminile all’attività del marito veniva
considerata scontata, come se fosse compresa nel contratto
matrimoniale. Che la moglie di Bach aiutasse il marito componendo,
come sostenuto qualche giorno da un musicologo proprio sulle pagine
di Repubblica, fa parte di questa visione delle cose», spiega Anna
Bravo, storica delle donne e autrice di saggi sul tema del ruolo
femminile nella società. «Non succedeva solo nel campo artistico,
ma in ogni settore della vita. Quando dopo il 1943 molti prigionieri
evadono dai campi in cui erano internati, spesso è una donna a
salvarli e nasconderli, ma il merito va al capofamiglia. Anche in
questo caso non si tratta di un complotto ma d’inerzia: era
scontato comportarsi così». Talmente scontato che perfino un
pensatore liberale come John Stuart Mill, in primo piano nella
battaglia dei diritti individuali e dell’emancipazione delle donne,
scrisse The Subjection of Women ( La schiavitù delle donne, 1869)
omettendo la firma della moglie Harriet Taylor, pur sapendo che il
libro era frutto di un’elaborazione comune. La confessione è nella
Autobiografia di John: «Le debbo le mie migliori idee». Ma
velatamente dentro l’opera ve ne era già una traccia: «Chi può
dire quante delle idee più originali formulate da autori maschi
appartengano a una donna che le ha suggerite? Se posso giudicare dal
mio caso, un numero davvero ampio». Ad Harriet è dedicato anche il
saggio Sulla libertà, uscito nel 1859, a un anno dalla sua morte:
«All’amata e compianta memoria di colei che fu l’ispiratrice, e
in parte l’autrice, di tutto il meglio della mia opera».
Nella letteratura è
noto il caso di Colette. La donna libera e spregiudicata protagonista
della Francia della Belle Époque, colei che poi contribuirà
all’affermazione di una nuova figura di scrittrice indipendente,
era stata per un periodo la ghostwriter di suo marito Willy,
pseudonimo di Henri Gauthier-Villars. Tutta la serie di Claudine,
uscì, tra il 1900 e il 1903, attribuita a Willy e solo dopo il
divorzio verrà pubblicata a doppia firma. Nel libro Il mio
noviziato, Colette racconta che Willy era talmente sicuro di sé da
vantarsi pubblicamente, arrivando quasi a confessare: «Ma sapete che
questa bambina mi è stata preziosa? Sì, sì, preziosa! Mi ha
raccontato sulla sua scuola cose incantevoli!». Lei non si perdonerà
di aver potuto permettere una tale ingiustizia: «In calce ai due
primi contratti ho apposto la mia firma. Questa espropriazione è
veramente il gesto meno scusabile che abbia ottenuto da me la paura,
e non me lo sono perdonato». Più controversa la storia di Zelda
Fitzgerald, che passò gli ultimi anni della sua vita in un ospedale
psichiatrico, e accusò Francis Scott di averla sfruttata e di
essersi appropriato di molte sue idee: «Ho riconosciuto (nelle opere
dello scrittore, ndr) pagine dei miei diari e anche pezzi di lettere
che gli scrivevo», disse. Zelda pubblicò un solo libro, Lasciami
l’ultimo valzer, e non riuscì mai a portare a termine il secondo.
Tra pittori accadeva
spesso che una donna lavorasse alla bottega di un grande artista per
poi sparire nell’anonimato. Alcuni dipinti di Judith Leyster,
pittrice e disegnatrice olandese del Seicento, sono stati a lungo
attribuiti al suo maestro Frans Hals. Così la Giovane donna che
disegna ( 1801) di Marie-Denise Villers, opera custodita al
Metropolitan Museum of Art di New York, è stata ritenuta per molto
tempo opera di Jacques-Louis David, nel cui atelier Marie lavorava. E
sembra che sia stata Camille Claudel, amante tormentata di Rodin, a
scolpire mani e piedi del gruppo bronzeo I borghesi di Calais. Il
finale è ancora una volta tragico: Camille muore rinchiusa in un
manicomio, senza più realizzare una so- la opera. Dopo la rottura
con lo scultore aveva realizzato il bronzo L’età matura, in cui si
raffigurava come una giovane donna in ginocchio che tentava di
trattenere a sé il suo uomo, mentre lui si allontanava con un’altra.
Per Germaine Greer, autrice nel 1979 di The Obstacle Race, saggio
sulla condizione delle pittrici nella storia dell’arte dal Medioevo
all’Ottocento, gli ostacoli a una competizione paritaria tra donne
e uomini in campo artistico sono sociali, educativi e psicologici.
Marietta Robusti Tintoretto, figlia illegittima di Jacopo, lavorò
nello studio paterno sacrificando la sua carriera individuale,
imprigionata per tutta la sua breve vita sotto la cappa dell’amore
del padre. La bellissima storia del loro soffocante rapporto è
narrata da Melania Mazzucco nel romanzo La lunga attesa dell’angelo
( Rizzoli).
Gli scienziati non
sono meno maschilisti. Lise Meitner è stata esclusa dal Nobel per la
scoperta della fissione nucleare, che nel 1945 andrà al suo collega
Otto Hahn. Anche Rosalind Franklin, che ha dato un notevole
contributo allo studio della struttura del dna, viene privata del
premio, assegnato nel 1962 a Wilkins, Watson e Crick. Mentre
l’astrofisica britannica Jocelyn Bell Burnell, che aveva
individuato i pulsar, lascia il Nobel al relatore della sua tesi,
Antony Hewish. Era il 1974.
Di strada ce n’è
ancora molta da fare, come dimostra il recente studio condotto a
Yale. Le cui conclusioni sono amare: nei luoghi di lavoro le donne
per difendersi dalla “appropriazione indebita” maschile sono
spinte necessariamente a tacere. Consola il fatto che Willy oggi sia
ricordato solo in quanto marito di Colette.
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