Le
donne non sono certo più buone degli uomini, eppure tendono a essere
meno inclini a compiere e giustificare comportamenti antisociali,
come accettare una tangente o comprare oggetti rubati. Sarà perché
sono socializzate in un certo modo, perché meno avverse al rischio o
più spaventate delle conseguenze? Oppure si tratta ancora della loro
esclusione dal potere? Diversi studi hanno raccolto evidenze e
provato a dare risposte
Tra
le 37 persone arrestate all’inizio dell’operazione contro mafia
capitale, c’erano solo otto donne, molte meno della metà. Per una
volta non ci lamentiamo di questa mancanza di rispetto per la parità
di genere. Non ci stupiamo nemmeno: per corrompere e essere corrotti
bisogna detenere un po’ di potere, come osservava la magistrata
Paola di Nicola, e di potere in Italia le donne ne detengono ancora
molto poco. Ma se le cose fossero diverse, se finalmente le donne
avessero accesso in modo massiccio alle posizioni di responsabilità,
potremmo sperare che le cose vadano meglio nel nostro povero paese?
Da tempo molti pensano di sì. Nel 2001 un lavoro che ha aperto la
strada a molti studi analoghi (1) ha preso in considerazione più di
100 paesi per dimostrare che quanto maggiore era la partecipazione
femminile alla vita politica (misurata dalla percentuale dei seggi in
parlamento detenuti da donne) tanto migliore era la posizione del
paese nelle classifiche internazionali di trasparenza e buon governo,
a parità di altre condizioni che si ritiene abbiano influenza sulla
corruzione. La Banca mondiale nel suo rapporto del 2001 Engendering
development, che ha dimostrato l’importanza dell’uguaglianza di
genere per lo sviluppo, ha trasformato questa conclusione in un
argomento forte a favore dell’aumento della quota di donne nei
parlamenti e organi decisionali: se, per qualunque motivo, le donne
sono meno sensibili alla corruzione degli uomini, bisogna favorire il
loro ingresso in politica e ai ruoli apicali, non solo per una
questione di giustizia ed equa rappresentanza, ma anche come
soluzione al problema della corruzione che è uno dei maggiori
ostacoli allo sviluppo e all’efficacia dell’azione pubblica.
Questo uso efficientistico del riequilibrio tra i sessi della
rappresentanza politica può non piacere perché ancora una volta fa
dell’uguaglianza un mezzo e non un fine. Ha infatti sollevato
diverse critiche femministe, ma è indubbio che è un argomento di
forte impatto.
I
risultati dello studio del 2001 sono stati confermati da molte
ricerche delle scienze comportamentali e da evidenza aneddotica. Le
donne si dichiarano meno propense di uomini con le stesse
caratteristiche (età, istruzione, stato civile etc.) a giustificare
comportamenti antisociali, quali accettare una tangente o comprare
oggetti rubati. È decisamente confermato (2) il legame tra maggiore
partecipazione delle donne al governo e minore percezione della
popolazione di vivere in un paese corrotto. Sono donne molti celebri
“whistleblower”, cioè dipendenti che hanno rotto l’omertà
aziendale e denunciato le pratiche scorrette alla base di famosi
scandali. Risale a questa estate il caso di Carmen Segarra che ha
rivelato un’eccessiva deferenza dell’organo di vigilanza bancaria
della Federal Reserve di New York rispetto alla potente banca di
investimento statunitense Goldman Sachs. E sono state ancora donne a
rivelare le dubbie operazioni contabili della Enron o a ribellarsi
alla vendita di titoli che valevano come carta straccia ai clienti di
Citigroup. Tornando a casa nostra, era una donna il capo del
dipartimento delle politiche sociali del Comune di Roma, Gabriella
Acerbi, che la banda di Carminati voleva a tutti i costi sostituire
perché non rispondeva nemmeno alle loro telefonate.
Sono
state suggerite alcune spiegazioni di questa maggiore capacità di
comportamenti onesti da parte delle donne, che, a differenza dei loro
corrispondenti maschili, spesso agiscono lontane dai riflettori e da
azioni clamorose alla Edward Snowden. Nessuno ovviamente azzarda una
spiegazione biologica o sostiene che le donne siano naturalmente "più
buone” degli uomini. Le sappiamo capaci di atroci efferatezze e
fatte del solito legno storto dell’umanità. Ma poiché le donne
sono state socializzate a prendersi cura degli altri, può darsi che
siano particolarmente avverse a manovre che fanno vittime soprattutto
tra i più deboli come, ad esempio, piccoli risparmiatori e ignari
impiegati. Può darsi che sentano maggiormente la responsabilità
della funzione pubblica a cui hanno avuto finalmente accesso e/o che
questo successo le appaghi abbastanza da non aver bisogno di altre
gratificazioni in termini di soldi e potere; può darsi semplicemente
che siano più escluse dai giochi sporchi ancora dominati da circoli
esclusivamente maschili che esitano a farle partecipi; può darsi
anche che siano più avverse al rischio e più spaventate dalla
possibilità di essere scoperte.
Ma
la relazione tra corruzione e presenza delle donne in politica si
presta anche ad un’altra lettura. Come sempre nelle scienze
sociali, quando si stabilisce che due fenomeni avvengono
contemporaneamente, non è mai certa la relazione di causalità,
che, in questo caso, potrebbe anche essere invertita: e se fosse non
che la presenza delle donne in politica respinge la corruzione ma che
la corruzione respinge le donne dalla politica? Se procedure di
reclutamento del personale politico poco trasparenti fossero dominate
da network maschili che vogliono mantenere al loro interno il
controllo della cosa pubblica in un regime di scambi e di favori
illeciti? Se il segnale che i potenziali candidati percepiscono è
quello che agli incarichi pubblici ci si arriva solo se si hanno
soldi e potere da scambiare, cose che le donne spesso non hanno?
Questa ipotesi è stata oggetto di uno studio recente (3) che ha
esaminato la relazione tra partecipazione femminile ai consigli
comunali e alcuni aspetti di buon governo locale in 18 paesi europei,
cioè in democrazie consolidate. All’interno dello stesso paese,
quindi con le stesse istituzioni, procedure elettorali, peso dei
media, storia e cultura, emerge chiaramente dallo studio che le
municipalità peggio governate sono anche quelle che hanno meno donne
che siedono nei loro consigli, a parità di altre condizioni. Lo
studio conclude che l’accesso delle donne alla vita politica è
ostacolato sia direttamente da network prevalentemente maschili di
politici che adottano opachi metodi di cooptazione sia indirettamente
dalla percezione che la scelta dei candidati per le cariche pubbliche
è discriminatoria e non equa ( e i governi corrotti sono i più
iniqui e anti meritocratici di tutti).
Non
ci mancavano i motivi per chiedere processi di selezione del
personale politico più trasparenti e basati sulla qualità dei
candidati. Ora ne abbiamo uno di più.
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