mercoledì 28 gennaio 2015

La corruzione non è femmina. Proviamo a capire perché

Le donne non sono certo più buone degli uomini, eppure tendono a essere meno inclini a compiere e giustificare comportamenti antisociali, come accettare una tangente o comprare oggetti rubati. Sarà perché sono socializzate in un certo modo, perché meno avverse al rischio o più spaventate delle conseguenze? Oppure si tratta ancora della loro esclusione dal potere? Diversi studi hanno raccolto evidenze e provato a dare risposte
Tra le 37 persone arrestate all’inizio dell’operazione contro mafia capitale, c’erano solo otto donne, molte meno della metà. Per una volta non ci lamentiamo di questa mancanza di rispetto per la parità di genere. Non ci stupiamo nemmeno: per corrompere e essere corrotti bisogna detenere un po’ di potere, come osservava la magistrata Paola di Nicola, e di potere in Italia le donne ne detengono ancora molto poco. Ma se le cose fossero diverse, se finalmente le donne avessero accesso in modo massiccio alle posizioni di responsabilità, potremmo sperare che le cose vadano meglio nel nostro povero paese? Da tempo molti pensano di sì. Nel 2001 un lavoro che ha aperto la strada a molti studi analoghi (1) ha preso in considerazione più di 100 paesi per dimostrare che quanto maggiore era la partecipazione femminile alla vita politica (misurata dalla percentuale dei seggi in parlamento detenuti da donne) tanto migliore era la posizione del paese nelle classifiche internazionali di trasparenza e buon governo, a parità di altre condizioni che si ritiene abbiano influenza sulla corruzione. La Banca mondiale nel suo rapporto del 2001 Engendering development, che ha dimostrato l’importanza dell’uguaglianza di genere per lo sviluppo, ha trasformato questa conclusione in un argomento forte a favore dell’aumento della quota di donne nei parlamenti e organi decisionali: se, per qualunque motivo, le donne sono meno sensibili alla corruzione degli uomini, bisogna favorire il loro ingresso in politica e ai ruoli apicali, non solo per una questione di giustizia ed equa rappresentanza, ma anche come soluzione al problema della corruzione che è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo e all’efficacia dell’azione pubblica. Questo uso efficientistico del riequilibrio tra i sessi della rappresentanza politica può non piacere perché ancora una volta fa dell’uguaglianza un mezzo e non un fine. Ha infatti sollevato diverse critiche femministe, ma è indubbio che è un argomento di forte impatto.
I risultati dello studio del 2001 sono stati confermati da molte ricerche delle scienze comportamentali e da evidenza aneddotica. Le donne si dichiarano meno propense di uomini con le stesse caratteristiche (età, istruzione, stato civile etc.) a giustificare comportamenti antisociali, quali accettare una tangente o comprare oggetti rubati. È decisamente confermato (2) il legame tra maggiore partecipazione delle donne al governo e minore percezione della popolazione di vivere in un paese corrotto. Sono donne molti celebri “whistleblower”, cioè dipendenti che hanno rotto l’omertà aziendale e denunciato le pratiche scorrette alla base di famosi scandali. Risale a questa estate il caso di Carmen Segarra che ha rivelato un’eccessiva deferenza dell’organo di vigilanza bancaria della Federal Reserve di New York rispetto alla potente banca di investimento statunitense Goldman Sachs. E sono state ancora donne a rivelare le dubbie operazioni contabili della Enron o a ribellarsi alla vendita di titoli che valevano come carta straccia ai clienti di Citigroup. Tornando a casa nostra, era una donna il capo del dipartimento delle politiche sociali del Comune di Roma, Gabriella Acerbi, che la banda di Carminati voleva a tutti i costi sostituire perché non rispondeva nemmeno alle loro telefonate.
Sono state suggerite alcune spiegazioni di questa maggiore capacità di comportamenti onesti da parte delle donne, che, a differenza dei loro corrispondenti maschili, spesso agiscono lontane dai riflettori e da azioni clamorose alla Edward Snowden. Nessuno ovviamente azzarda una spiegazione biologica o sostiene che le donne siano naturalmente "più buone” degli uomini. Le sappiamo capaci di atroci efferatezze e fatte del solito legno storto dell’umanità. Ma poiché le donne sono state socializzate a prendersi cura degli altri, può darsi che siano particolarmente avverse a manovre che fanno vittime soprattutto tra i più deboli come, ad esempio, piccoli risparmiatori e ignari impiegati. Può darsi che sentano maggiormente la responsabilità della funzione pubblica a cui hanno avuto finalmente accesso e/o che questo successo le appaghi abbastanza da non aver bisogno di altre gratificazioni in termini di soldi e potere; può darsi semplicemente che siano più escluse dai giochi sporchi ancora dominati da circoli esclusivamente maschili che esitano a farle partecipi; può darsi anche che siano più avverse al rischio e più spaventate dalla possibilità di essere scoperte.
Ma la relazione tra corruzione e presenza delle donne in politica si presta anche ad un’altra lettura. Come sempre nelle scienze sociali, quando si stabilisce che due fenomeni avvengono contemporaneamente, non è mai certa la relazione di causalità, che, in questo caso, potrebbe anche essere invertita: e se fosse non che la presenza delle donne in politica respinge la corruzione ma che la corruzione respinge le donne dalla politica? Se procedure di reclutamento del personale politico poco trasparenti fossero dominate da network maschili che vogliono mantenere al loro interno il controllo della cosa pubblica in un regime di scambi e di favori illeciti? Se il segnale che i potenziali candidati percepiscono è quello che agli incarichi pubblici ci si arriva solo se si hanno soldi e potere da scambiare, cose che le donne spesso non hanno? Questa ipotesi è stata oggetto di uno studio recente (3) che ha esaminato la relazione tra partecipazione femminile ai consigli comunali e alcuni aspetti di buon governo locale in 18 paesi europei, cioè in democrazie consolidate. All’interno dello stesso paese, quindi con le stesse istituzioni, procedure elettorali, peso dei media, storia e cultura, emerge chiaramente dallo studio che le municipalità peggio governate sono anche quelle che hanno meno donne che siedono nei loro consigli, a parità di altre condizioni. Lo studio conclude che l’accesso delle donne alla vita politica è ostacolato sia direttamente da network prevalentemente maschili di politici che adottano opachi metodi di cooptazione sia indirettamente dalla percezione che la scelta dei candidati per le cariche pubbliche è discriminatoria e non equa ( e i governi corrotti sono i più iniqui e anti meritocratici di tutti).
Non ci mancavano i motivi per chiedere processi di selezione del personale politico più trasparenti e basati sulla qualità dei candidati. Ora ne abbiamo uno di più.


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