Questa
intervista alla sociologa e scrittrice autriaca Edit Schlaffer è
stata pubblicata da Der Standard, quotidiano austriaco, il 19
dicembre 2014, e tradotta da Maria G. Di Rienzo (giornalista e
formatrice, autrice del blog lunanuvola). Schlaffer fa parte di Donne
senza confini, organizzazione che ha creato “Sisters Against
Violent Extremism / Sorelle contro l’estremismo violento – Save”,
la prima piattaforma globale antiterrorismo basata sull’attivo
coinvolgimento delle donne e soprattutto delle madri.
Come
sociologa hai condotto interviste con centinaia di madri i cui figli
sono caduti prede dell’estremismo. Che si tratti di Palestina,
Pakistan, Irlanda del Nord o Austria: quali tratti comuni hai
trovato?
Non
abbiamo scoperto un profilo familiare comune. Abbiamo, però, trovato
molti segni di allarme precoce. I figli spesso si rinchiudevano nelle
loro stanze; i parenti venivano tenuti a distanza. I giovani uomini
esaltati dai leader islamisti cominciavano ad indossare abiti
wahabiti e le ragazze studiavano di vestirsi per nascondere le loro
figure.
I
seminari della Scuola delle Madri, tenuti dalla tua organizzazione
Frauen ohne Grenzen – Donne senza confini, sono il primo sforzo
internazionale che mostri come maneggiare efficacemente la confusione
dei giovani e i tentativi esterni di convertirli all’estremismo. Ma
i figli sono poi così disposti ad ascoltare le loro madri?
Nessun
politico e nessun agente segreto è più vicino delle madri ai
meccanismi del reclutamento. Le madri sono le più importanti
testimoni, sebbene controvoglia e spaventate, di come il dissenso dei
loro figli prenda la strada della radicalizzazione.
Ma
una volta che i giovani siano stati convinti dai famosi video clip
dell’IS, non è troppo tardi per l’intervento delle famiglie?
Non
necessariamente. Tutte le madri di quelli che sono andati in Siria
sono convinte che in momento dato avrebbero potuto intervenire se
avessero avuto più fiducia in se stesse, più conoscenze e più
sostegno. Le famiglie semplicemente non sono attrezzate per
contrastare queste ideologie pericolose e tentare di farlo solo con
reazioni emotive non funziona.
Intendi
con sgridate e proibizione di visionare il materiale di propaganda
dell’IS?
Il
miglior approccio sarebbe per le madri il confrontarsi direttamente
con i loro figli, chiedendo: “Dimmi, cosa stai vedendo?”. Questo
aprirebbe la possibilità di un dialogo all’interno della famiglia.
Nelle nostre Scuole delle Madri incoraggiamo le madri ad invitare a
casa i nuovi “amici” dei figli. In Indonesia, per esempio, ho
parlato con reclutatori che tentano di isolare i giovani dalle loro
famiglie e fanno loro passare le notti nelle moschee. Quel che è
certo è che i fondamentalismi sfruttano mancanze e fallimenti di
ogni società in cui si trovano.
Quali
sono le più grandi debolezze delle democrazie occidentali?
Qui
in Occidente, i reclutatori fondamentalisti attirano persone giovani
in cerca di identità, appartenenza, nonché “significato” nelle
promesse del paradiso. In effetti IS offre tutto: lavoro, stima,
cameratismo e inoltre si appella a fantasie del tipo “Robin Hood”.
Weissensteiner:
Sino a che questi giovani mal guidati si ritrovano in una sanguinosa
“crociata santa”?
Esattamente.
Pure, nonostante il loro totale distacco da quel che dicevano prima
(Ndt.: dell’arruolamento) rimane in loro un persistente
attaccamento alle loro madri.
Weissensteiner:
In che modo?
Una
delle madri che ho intervistato ha ricevuto dal figlio di diciassette
anni un messaggio di testo che diceva: siamo in cinque con una sola
arma, stiamo per essere mandati al fronte, sono terrorizzato. Solo le
madri vengono a conoscenza di tali paure. Queste madri devono essere
mobilitate affinché passino il messaggio agli altri figli, ai
vicini, agli amici. Il silenzio di chi è investito dalla questione
dev’essere infranto, le loro voci devono poter raggiungere quelli e
quelle per cui non è ancora troppo tardi.
Che
tipi di messaggi mandano le figlie?
Nelle
nostre conversazioni con le madri abbiamo appreso che le ragazze
diventano incinte entro cinque/sei mesi e che soffrono di depressione
perché si sentono sfruttate, come schiave lavoratrici e schiave
sessuali. Molte mandano richieste di aiuto, dicendo che avranno la
possibilità di fuggire quando gli uomini saranno al fronte. Sino ad
ora, però, nessuna di queste richieste ha avuto seguito: è un
seguito pericoloso, che richiede un vasto raggio di misure di
sostegno.
I
“combattenti stranieri” che ritornano sono tenuti sotto stretta
sorveglianza. Ha senso rimpatriarli?
Le
nazioni occidentali sembrano sopraffatte e adottano l’approccio
sbagliato a queste situazioni, principalmente perché appoggiano
parti direttamente coinvolte. Secondo la nostra recente ricerca (Ndt:
si tratta di “Madri per il cambiamento”, Study Vienna 2014, di
Edit Schlaffer e Ulrich Kropiunigg, sostenuto dal Fondo Austriaco per
la Scienza), che ha esplorato il potenziale delle madri, oltre il 90
per cento delle madri si fidano di altri madri per la salvaguardia
dei loro figli, poi degli insegnanti di questi ultimi. Sino ad ora,
però, noi abbiamo lasciato che gli insegnanti se la sbrigassero da
soli a maneggiare l’estremismo crescente. Questa non è solo
un’opportunità perduta, è una bomba a tempo. Dobbiamo creare
finalmente programmi di sostegno – una task force – in special
modo finché le madri sono la prima linea di difesa e possono essere
incoraggiate ad avvisare la polizia se hanno preoccupazioni rispetto
ai loro figli. In ogni caso, solo il 39 per cento delle intervistate
nel nostro studio si fidava della polizia e il 29 per cento dei
propri governi. Questo è un deficit di sicurezza allarmante.
I
governi stanno cominciando a fornire sostegno, come le linee
telefoniche di aiuto e il chiedere alle comunità religiose islamiche
di accettare le loro responsabilità nella lotta contro l’estremismo.
Giusto?
Se
si osserva come vanno le cose, i giovani sono reclutati così in
fretta che non hanno neppure il tempo di studiare le “sura” del
Corano. C’è la tendenza a coinvolgere leader religiosi, ma il
problema è che gli estremisti rigettano i musulmani che non
appoggiano le loro crociate radicali salafite. Perciò non è
possibile lasciare la prevenzione interamente alle comunità
religiose. Rispetto ai “telefoni amici”: devono diventare
qualcosa di più di una “zia che ascolta l’agonia”. Sono
necessari sforzi concreti sociali e comunitari.
I
tuoi, di sforzi, sono stati presi più seriamente all’estero che
qui in patria? (Ndt.: in Austria)
In
Inghilterra abbiamo già stabilito una campagna di prevenzione della
radicalizzazione che ha raggiunto migliaia di persone: dalle famiglie
interessate o preoccupate dal fenomeno alle agenzie sociali, dalle
moschee alle scuole. Per il progetto abbiamo prodotto un filmato in
cui le madri di giovani estremisti prendono posizione. Ha un impatto
enorme vedere la madre di uno dei pianificatori dell’attacco al
World Trade Center che dice: “Non difendo mio figlio. Quel che ha
fatto non ha nulla a che vedere con l’Islam”. Oppure quando la
madre di un figlio che voleva far saltare in aria un complesso
commerciale a Bristol dice: “Voglio mettere fine allo stigma
dell’essere la madre di un terrorista e far conoscere alle altre
madri i segni di allarme precoce che io ho mancato di cogliere”.
I
governi chiedono i vostri pareri di esperte?
In
effetti è il contrario: noi di “Donne senza confini” ci
rivolgiamo ai governi e ci appelliamo alle autorità pubbliche
affinché si coinvolga la società civile nelle attività relative a
prevenzione e riabilitazione. Il nostro ministero austriaco per gli
Affari Sociali ha già fatto partire un’iniziativa globale unica,
qui a Vienna, per le madri i cui figli e le cui figlie sono partiti
per la Siria: le madri si incontrate fra loro e con gli addetti alla
sicurezza. Esaminando le esperienze personali di queste madri e
rispondendo ad esse, noi troveremo un modo di risolvere l’enigma
della radicalizzazione.
Nessun commento:
Posta un commento