Si
apre il processo alla collega Marina Morpurgo, querelata più di un
anno fa per aver denunciato su Facebook un'immagine offensiva per le
donne. Riprendiamo l'articolo di Pietro Falco, pubblicato
sull'Espresso:
Sulla
propria bacheca di Facebook, accessibile solo agli amici, è lecito
esprimere liberamente un giudizio motivato di sdegno e riprovazione
nei confronti di qualcuno o qualcosa? E' una manifestazione della
libertà di opinione tutelata dalla Costituzione, o si rischia di
incorrere nel reato di diffamazione a mezzo stampa? E' quanto dovrà
stabilire un giudice monocratico di Foggia, nel processo che vede
imputata la giornalista Marina Morpurgo, per anni inviata de L'Unità
e poi caporedattore del settimanale Diario.
Qualche
giorno fa il pm della procura foggiana, Anna Landi, ha emesso ai suoi
danni un decreto di citazione diretta a giudizio: vale a dire, un
provvedimento previsto dall'ordinamento per i reati punibili con una
reclusione non superiore ai quattro anni, che non necessita del
vaglio di un giudice per le indagini preliminari. L'accusa è appunto
quella di "diffamazione a mezzo stampa" per aver "offeso
l'onore" della Scuola di Formazione Professionale Siri,
"denigrandone su un social network la campagna pubblicitaria".
All'origine
della vicenda, c'è un manifesto che immortala una bambina bionda, di
circa 6 o 7 anni, intenta a passarsi un rossetto sulle labbra con
espressione ammiccante. Sopra la foto, una dichiarazione perentoria a
caratteri cubitali: "FARO' L'ESTETISTA, HO SEMPRE AVUTO LE IDEE
CHIARE".
Quando
se lo ritrova davanti, Morpurgo si indigna: "Trovavo
quell'immagine del tutto inappropriata e addirittura inquietante, per
l'utilizzo a scopi pubblicitari di una bimba ritratta in quel modo, e
per la maniera in cui veniva ancora considerata la donna, a dispetto
di tutte le battaglie di emancipazione degli ultimi decenni". E
così decide pubblicare il manifesto sulla propria bacheca di
Facebook, chiosandolo con una serie di commenti.
Le
considerazioni riportate nell'atto d'accusa della procura e riferite
a momenti diversi sono queste: "Anche io ho sempre avuto le idee
chiare: chi concepisce un manifesto simile andrebbe impeciato ed
impiumato (citazione tratta dai vecchi fumetti di Paperino, ndr)... I
vostri manifesti e i vostri banner sono semplicemente raggelanti...
Complimenti per la rappresentazione della donna che offrite... Negli
anni Cinquanta vi hanno ibernato e poi risvegliati?".
A
quel punto, passano diverse settimane prima che la titolare della
scuola, Maria Laura Sica, decida di sporgere querela. E il pm Anna
Landi ritiene di ravvisarvi indizi sufficienti per aprire un
fascicolo ed iscrivere la giornalista nel registro degli indagati. Il
resto è storia di oggi.
A
nulla è valsa la memoria difensiva presentata dall'avvocato Carmela
Caputo, che poneva obiezioni sia di metodo ("Con riferimento a
facebook o a social network analoghi, per il reato di diffamazione a
mezzo stampa, la Cassazione non si è ancora pronunciata"), che
di merito ("Le espressioni incriminate sono state riportate
sulla pagina personale della Morpurgo, frequentata esclusivamente da
suoi amici. Le comunicazioni lì pubblicate non sono visibili a
tutti, ma solo al gruppo di amici del titolare della bacheca.
Difetterebbe, quindi, il requisito strutturale richiesto dal comma 3
dell'articolo 595 del codice penale").
Ma
soprattutto, ad essere interpellato era un principio fondamentale,
come quello sancito dall'articolo 21 della Costituzione: la facoltà
di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
"E'
inaccettabile - argomenta nella nota l'avvocato Caputo - che una
stimatissima professionista venga indagata non per aver detto il
falso, o denigrato persone o enti, bensì semplicemente per aver
espresso un'opinione che può piacere o non piacere, ma che deve
comunque ritenersi più che legittima e manifestata nei limiti della
legalità. E' inaccettabile che la signora Morpurgo si ritrovi nel
registro degli indagati per aver esercitato il diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero, utilizzando l'ironia e il sarcasmo
per polemizzare su un manifesto discutibile, che appare fortemente
lesivo dell'infanzia".
La
palla ora passa al giudice monocratico. La prima udienza è fissata
per il prossimo 15 maggio.
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